Vi spiego il mio rapporto con la felicità: immaginate di avere nel soggiorno degli scaffali. Fatto? Bene, su questi scaffali ci sono dei libri, con la loro bella copertina, colori e immagini, il titolo con le sue belle lettere chiaramente leggibili; guardandoli sembra che nessuno li abbia mai letti. Si capisce subito quando un libro è stato usato; il dorso rivela delle piccole imperfezioni, cambia leggermente il modo in cui appare da chiuso e, a seconda di chi ne fa uso, potrebbe avere le orecchiette o sembrare rovinato. I libri sul nostro scaffale sembrano invece appena usciti dalla tipografia. Tu sei lì, con un po’ di tempo libero, li osservi e decidi che ti piacerebbe cominciare a leggerne uno, invece di guardare la solita tv. Il problema è che il libro che hai scelto è troppo in alto. Anche in punta di piedi proprio non ci arrivi. Ti guardi intorno in cerca di qualcosa che ti consenta di arrivarci. Prendi la sedia più vicina a te, la porti vicina alla parete e ci sali su. Adesso è un’altra cosa. Allunghi la mano verso il libro che hai scelto, delicatamente inizi ad estrarlo dal suo posto, ansiosa di cominciarne la lettura. Senti la sua consistenza sotto la tua mano, l’odore della carta. Lo puoi vedere, lo puoi toccare con la mano e tra qualche secondo le sue pagine cominceranno a rivelartene l’essenza interiore. Ma improvvisamente senti un rumore, come un crac, e senza sapere neanche capire come, ti ritrovi sul pavimento. La gamba della sedia ha ceduto. Hai scelto tra tutte la sedia più instabile. Quella riposta in un angolo proprio perché c’era il rischio che si rompesse. Solo che era la più vicina e l’hai presa senza pensarci. Ed ora sei stesa sul pavimento. Provi a rialzarti ma la gamba e la caviglia ti fanno troppo male. Sai che in casa non c’è nessuno. Il libro intanto non sai se è rimasto sullo scaffale o se è volato per terra anche lui, infilandosi sotto qualche mobile. Lo toccavi pochi secondi prima ed ora non riesci neanche più a vedere dov’è. Ma il problema è che ti devi rialzare nonostante il dolore, sperando non ci sia nulla di rotto.
Ecco è così tra me e la felicità: la posso vedere, riesco anche a toccarla, ma poi sparisce in un soffio perché tutto intorno è instabile e inaffidabile, lasciandomi a terra con gli arti doloranti e senza aiuto.
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Spine
Falsità
Ma è davvero così sbagliato lasciarsi trasportare dalle proprie emozioni con naturalezza?
È davvero più giusto ostentare un’affettata purezza, un’innocenza studiata a tavolino per ispirare dei sentimenti?
Sono veramente autentici dei sentimenti ispirati da un modo di essere dettato dalle convenzioni e dalla prudenza che celano e frenano l’essenza di una persona?
Sono veramente effimeri i sentimenti che può suscitare una persona che ti si rivela in tutta la sua pienezza, con tutta la sua naturalezza, semplicità e complessità?
Può veramente l’Amore arrivare solo dove ci si nega, si fugge e si indossa una maschera?
Può veramente l’Amore sincero abbandonare chi all’amore si abbandona con trasporto?
Può veramente un Uomo, degno di questo nome, approfittarsi del candore autentico di chi ti dona anima e corpo
E lasciarsi irretire da chi strategicamente si nasconde, velandosi di falsa purezza?
L’Amore è quindi anch’esso un mero calcolo?
È solo l’amore fisico ad essere facile, semplice, spontaneo e naturale?
Devono la spontaneità, la sincerità e l’istinto essere condannati al veloce oblio e alla facile maldicenza
Mentre artificiosità, repressione e ipocrisia sono premiate?
La gente come me
La gente come me.
La gente come me quando si confida non lo fa perché è in cerca di saggi consigli
Né perché deve attirare l’attenzione su di lei.
La gente come me quando si confida lo fa perché ha bisogno di condividere un’emozione
Che da sola non riesce a contenere ne a gestire.
Che sia un cosa positiva o negativa non ha importanza.
E’ sempre un’emozione.
Uno squarcio nel cuore, un vuoto nell’anima, una delusione, una perplessità, un dubbio, un sentimento o una gioia, una conferma, una bella novità.
Doppiezze
Esiste gente che dietro la parvenza di generale e incurante schiettezza, sincerità e mancanza di peli sulla lingua, cela la propria assoluta mancanza di comune buona educazione e una fastidiosa tendenza a parlar male, chiaramente alle spalle, di chi non ha il loro medesimo modo di ragionare, talvolta piuttosto discutibile, aggiungerei. Orbene codeste persone, consce o meno della loro doppiezza, hanno altresì l’ardire di attribuire alle persone che invece possiedono la capacità di tollerare la loro inopportuna e indelicata presenza, per rispetto delle buone maniere e del civile comportamento che queste implicherebbero, quella stessa ipocrisia di cui esse stesse si rendono costantemente colpevoli. Non paghe di ciò riescono, evidentemente assistite da anni di esercizio, a suscitare sentimenti di ostilità verso i poveri malcapitati, che esse avvertono come nemici, anche nelle persone che circondano i suddetti, affascinandole con i loro modi sui generis. Mentre il povero malcapitato, la cui uniche colpe risiedono nell’avere un pensiero dissimile, un’indole silenziosa e garbata e nel non essere assoggettato al loro incomprensibile fascino, si ritrova inerme, incapace di difendersi innanzi ad una doppiezza a cui non è assolutamente avvezzo e oltretutto di cui nessun altro pare avvedersi.
Monologo
Dicono che certe esperienze acuiscono la sensibilità artistica; che la solitudine, la delusione e il troppo tempo speso a pensare portino l’ispirazione. Quella con la I maiuscola. Come se ogni stramaledetta persona che si sente sola e delusa, con un minimo di inclinazione alla scrittura, potesse essere pronta a scrivere il più grande romanzo del secolo. Come no! Se fosse vero, non ci sarebbe più posto nelle librerie per tutti questi capolavori.
È anche vero però che è nell’introspezione che io comincio a sentire il bisogno impellente di scrivere. Quando ti prende la malinconia, le mal du siècle per dirla come Baudelaire, grand’uomo quello!
“Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro. Ma ubriacatevi.”
A proposito, ecco un’altra cosa a cui può portare la solitaria riflessione sulle proprie delusioni: alla bottiglia. Mi sa che l’alcolismo è un effetto collaterale. O alla pazzia. Ahahahahah
Tornando a noi, mi guardo intorno in quest’atmosfera un po’ bohemienne.
Questa vecchia casa con la moquette rossa nel soggiorno, in parte lisa e macchiata, l’intonaco della parete che cade giù in alcuni punti. L’incenso che brucia in un incensiere posto in quello che una volta era un mini giardino zen (la sabbia non c’è quasi più), e una statuetta dall’apparenza buddista.
Il grande televisore spento. Non prende nessun canale. Niente decoder digitale terrestre.
Le lampade accese che danno un’aria soft all’ambiente. Gli alcolici in bella mostra sugli scaffali.
Un vecchio proiettore di filmini in pellicola. Non credo funzioni, ma ammesso che fosse funzionante, cosa ne farei? Non ho nulla da vedere…
Una piccola cassapanca con due cuscini sopra. Un tavolino di legno nero con su quello che a me sembra un tappetino (magari nell’intenzione di chi lo ha messo era qualcosa’altro) e sopra il mio laptop bianco attaccato alla corrente. Senza corrente ormai non funziona più. La batteria è spirata un po’ di tempo fa. I miei cellulari sparsi qua e là. E sì, sono piena di sim.
Poi sul divano letto, interamente ricoperto da un copriletto blu e pieno di cuscini di diverse forme e colori, ci sono io. Vestita solo dell’accappatoio e con un caldo-bagno acceso ai piedi. Perché cazzo non vado a vestirmi se sento freddo, non l’ho capito neanch’io.
Forse fa più bohemien o e più sexy. Immaginate un morbido accappatoio che mi ricopre in parte, le gambe e il petto bianchi parzialmente scoperti. I capelli appena asciugati che ricadono morbidi sulle spalle.
Ok, fermi tutti! Adesso manca che mi faccia scivolare una mano tra le cosce e diventa un incipit per un racconto erotico soft. Non è il mio intento seppur… Ho tanta, ma tanta voglia di far l’amore. Non certo da sola però. Ho bisogno del contatto con la pelle di un altro, mani che mi afferrano, mi stringono, labbra che mi cercano. Mamma, quanto mi piacerebbe che lui fosse con me adesso. A prendermi come solo lui sa fare e…
Sì va bene, ho detto che non era un racconto erotico. Alla fine però a scriverlo sono io, sarò pure libera di cambiare idea, no?
E se io adesso volessi trasformare il racconto di una tranquilla e anche un po’ malinconica sera in solitudine, in un racconto soft core? Chi me lo impedirebbe?
Come, come? Dici che è solo una scusa per finire a parlare di lui? Che gira e rigira ho in testa solo lui?
No, aspetta con lui intendi l’amato/odiato A o quell’altra cosa che…
Ah, intendi il mio A. Oddio! Mio è una parola un po’ forte. Lui non è certo mio. Sono io ad essere sua… per ora.
Che gli passerà mai in quella testaccia calva non lo saprò mai finché non sarà troppo tardi e…
Stop and rewind. Non era meglio tornare a quando parlavi di sesso? Era più divertente.
Questa poi! Mio immaginario lettore ti stai prendendo un po’ troppa confidenza. Dovresti restare all’esterno della storia, non intervenire direttamente.
Comunque non volevo parlare di sesso né di lui. Lui non si merita tutta questa considerazione, visto quanto mi considera lui, e per quanto riguarda il sesso… Se ne parlo mi vengono certe voglie e senza nessuno a soddisfarle… Meglio che vado a farmi un panino, va.